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Particolare del Pino Domestico

La vedetta

29 Dicembre 2015

È un simbolo, un personaggio, un punto di riferimento e di ricordi antichi per il mio amato paese. Non è una persona,un uomo importante che viene ricordato per la sua vita, per le sue qualità o per le opere da lui compiute, è solamente un albero, ma che albero! Un pino domestico,non un pino:"il pino". Alza i suoi rami, formando un frondoso cappello, sulla collina su cui sorge il paese di Bracelli. È vecchio questo amato albero, di lui si fa riferimento nel "Compendio su Jacopo Bracelli", scritto dal compaesano Arnaldo Righetti, in una lettera del 1° ottobre 1797 in cui viene citato il "Domestico" come punto di incontro per difendersi dai ribelli durante la Rivoluzione francese: Che suggestione dà un albero secolare, è come collegarsi alla vita, alla terra senza cognizione di tempo, esso è lì ora e da sempre, ci fa sentire infiniti. Per molti anni, fino a quando non è stata costruita la strada "carrozzabile" che da Padivarma sale a Bracelli, dal punto in cui, chi raggiungeva il paese a piedi cominciava a vederlo diceva: "Ecco sono quasi arrivato" e Lui sembrava sorridere e rispondere: "Sei giunto a casa, Sii felice:". Attorno ad esso, un tempo, si stendeva un piccolo prato, piccolo sì ma abbastanza grande da permettere a noi bambini, durante l'estate, di inventare mille giochi sotto la sua ombrosa chioma. Le femmine preferivano "la casella", gioco che imitava i lavori di casa delle donne. Bastavano due cocci per stoviglie, un po' d'erba per verdura, una bambola e il gioco assumeva le più svariate situazioni di vita. I maschi giocavano a nascondersi e il posto più sicuro era una sorta di galleria che si apriva alla base del pino, quel nascondiglio era il primo ad essere ispezionato, il piacere consisteva nell' essere molto veloci e giungere primo al "battito", il punto in cui uno, toccandolo, evitava di contare e andare alla ricerca dei compagni. Il periodo più bello per andare dal Pino Domestico era quello della raccolta delle pigne, quando il sole aveva già provveduto a renderle secche e così più facilmente svuotabili. Ognuno faceva incetta  di quante più ne poteva contenere il suo grembo e poi, muniti di sassi, si spaccavano e si estraevano i bei duri e scuri semi che contenevano i pinoli. Ci si metteva in circolo e con due pietre, preferibilmente piatte, una per appoggiare il seme e l'altra per spaccarlo, cominviavamo il lavoro. Era una gara a chi poteva contarne di più, il tutto però senza gelosia l'uno per l'altro. Ogni tanto, se qualche adulto passava nel viottolo sottostante, sentendo quel vociare gioioso chiedeva: "Ghen'è fanti?". Dalla finestra della mia casa, nella parte più alta del paese, era uno spettacolo guardarlo, attorno ad esso solo cespugli bassi, quasi chini di fronte ad "un personaggio" così importante; nella vallata opposta castagni e cerri, forse anche loro meravigliati di quell'ultima unica pianta della loro specie. È passato tanto tempo ormai e da quella stessa finestra anche in una notte in cui la luna piena spande la sua luce e penetra nel bosco con il suo chiarore "il pino domestico" non si vede più allora vengo assalita dalla nostalgia di tempi lontani e tanti ricordi tornano alla mente. Non si vede più il pino è circondato e quasi sommerso da altri alberi che sembrano schernirlo perché è vecchio. Non cresce più, si sente abbandonato e seppur a malincuore accetta di farsi nascondere dalle giovani piante, ma ne soffre perché nessuno lo difende: vorrebbe di nuovo vedere pulito il sentiero che lo raggiunge, vorrebbe sentire ancora la soffice coltre del prato che lo circondava, vorrebbe udire ancora la voce dei bambini, ma il suo desiderio più grande sarebbe quello di diventare ancora il vessillo di Bracelli, la porta di accesso al PAESE.

Lina Righetti