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le acquaiole alla fonte della pissà Bracelli

ACQUA della "PISAA"

22 Gennaio 2011

E se qualcuno vi chiedesse che cos'è "la pisaa?" I bambini vi guarderebbero con aria di chi si chiede "ma questo dà  i numeri !". I giovani, quei pochi che ancora ci sono, direbbero: "ma l'ho sentita nominare, forse è una sorgente, ma non so di preciso dove si trova". Ciò dimostra che se qualcuno degli ultimi anziani che ritroviamo a Bracelli vi racconta qualche cosa della"pisaa" e noi riusciamo a tramandarla ai posteri, forse siamo riusciti ancora una volta a non perdere del tutto la "Memoria". La "pisaa" è una sorgente dalla quale sgorgava (pisaa in dialetto) una naturale, fresca, limpida acqua. È situata all'inizio del canale che si trova ai piedi del monte Penna e da lì percorrendo una stretta valle raggiunge la località di Padivarma raggiungendo il Vara. Quando ancora non era stato costruito l'attuale acquedotto, nelle case di Bracelli c'era, ed erano i più fortunati chi aveva una cisterna che raccoglieva l'acqua piovana ed era agevolato per l'uso domestico ma non per bere, e c'era chi non avendo la cisterna doveva recarsi alla "pisaa" a prendere acqua, sia da bere che da usare per le necessità della casa. D'inverno erano le donne che con "e secce" (secchi) andavano per acqua. D'estate erano i bambini che, verso le undici, con fiaschi, bottiglie, piccoli secchi andavano per acqua alla "pisaa". Si raccoglievano nella Piazza " dei Cordon" di fronte al Palazzo Ravaschieri, e quando c'erano tutti partivano. Il sentiero da percorrere era in un primo tratto non troppo difficile, ma,man mano che si raggiungeva il fondo valle era pieno di curve,con discese sconnesse e a volte anche pericolose, perché chi cadeva, rischiava di rompere il fiasco o la bottiglia e allora addio acqua fresca per il pranzo! La cosa diventava più "tragica" se il fiasco spesso nudo cioè privo dell'involucro di paglia si rompeva proprio vicino a casa. E allora? spesso si doveva tornare da soli alla "pisaa". Forse ai giovani che leggono oggi queste cose questo fatto, che si ripeteva puntualmente ogni giorno, potrà sembrare una cosa ridicola, ma a chi come me, partecipava tutti i giorni a questa passeggiata in compagnia degli amici, ci si facevano scherzi e si rideva, ancora oggi fanno provare una certa emozione e perché no, forse anche tanta nostalgia per una bella e spensierata giovinezza. Il sole, l'aria sono essenziali per la vita. E allora si dice che l'acqua è vita, come si fa a privatizzare una delle fonti principali della vita? L'acqua dei nostri rubinetti è buona anzi ottima: controllata, sicura, ecologica, economica, un bene da difendere, che oggi sprechiamo troppo e che nel futuro potrebbe non essere più garantito. Perché l'acqua del sindaco -come viene chiamata l'acqua "pubblica" in molte parti d'Italia- è seriamente minacciata dalla legge sulla privatizzazione contro cui sono state raccolte oltre un milione e 400 mila firme. I movimenti referendari hanno chiesto al governo di emanare un provvedimento legislativo che disponga la moratoria degli affidamenti dei servizi idrici previsti dal decreto Ronchi almeno fino alla data di svolgimento del referendum. I referendari hanno inoltre chiesto alle amministrazioni locali di non dare corso alle scadenze previste dal decreto (per dettagli sull'iter referendario e per aggiornamenti www.acquabenecomune.org). Facciamo dunque un passo indietro per vedere cosa stabilisce il decreto Ronchi, è una legge che arriva alla fine di un percorso, iniziato quindici anni fa con la legge Galli, da quando la classe politica italiana è stata catturata dalla logica della privatizzazione di tutti i servizi pubblici. Ormai tutto è merce. È merce l'energia, è merce l'acqua, è merce l'istruzione, è diventata merce anche l'aria  con i mercati di immissione di CO2 introdotti a Copenhagen, adesso è merce anche l'acqua. In sostanza la gestione dell'acqua deve essere affidata solo a gare aperte a tutti. Così al 31 dicembre 2010 sono cessati tutti gli affidamenti che non sono frutto di una gara. La scadenza può slittare al 31 dicembre 2011 se, nel mentre, gli enti gestori cedono ai privati almeno il 40%. Per gli affidamenti a società quotate in borsa, si va alla scadenza naturale del contratto, ma solo se la quota pubblica scende sotto al 30% entro fine 2015. I prezzi dovrebbero essere stabiliti dalle autorità territoriali di ambito (ATO ndr), ma normalmente i comuni accettano le analisi fornite dall'operatore privato, che trova sempre ottime ragioni per chiedere e ottenere aumenti delle tariffe. I comuni finiscono sempre per non avere gli elementi per decidere la politica tariffaria, alla fine è il privato che decide, i comuni non hanno più nessuna voce in capitolo e nessuna possibilità di criticare. Oltre che salubre l'acqua del rubinetto è anche economica. Secondo una stima, l'acqua in bottiglia costa costa circa 30 centesimi al litro. Se consideriamo il consumo medio procapite italiano di 195 litri a persona, una famiglia di tre persone spende circa 175 euro l'anno in acqua minerale e sempre di media spende 260 euro l'anno per tutta l'acqua del rubinetto che utilizza (compreso fogne e depurazioni). In sostanza, il costo dell'acqua del rubinetto può essere fino a 600 volte inferiore rispetto all'acqua minerale. Il volume d'affari delle acque in bottiglia ha ormai raggiunto i 3 miliardi di euro. Tuttavia sono cifre davvero irrisorie quelle corrisposte dalle società imbottigliatrici alle Regioni, per la concessione di sorgenti e terreni. Il pagamento in funzione degli ettari oscilla tra un minimo di 1,033 euro per ettaro della Puglia ai 587,69 euro per ettaro del Veneto. Il costo per le società imbottigliatrici su ciascun litro d'acqua corrisponde allo 0,6% del prezzo finale che noi paghiamo. Il resto se ne va per spese di imballo(60%) e poi trasporto, costo del lavoro, pubblicità. Per cui quando andiamo a comprare l'acqua minerale per assurdo non paghiamo l'acqua, quanto ciò che le sta attorno.