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Un profumo
06 Luglio 2016
A chi non è mai successo di svegliarsi un mattino e sentirsi ancora per qualche attimo immerso nel sogno che stava facendo? Questo a me succede soprattutto quando nel sogno prevale la sensazione di un particolare profumo, che mi ricorda avvenimenti passati o recenti, mai dimenticati. Questo profumo a volte mi accompagna per tutta la giornata, riuscendo ad allontanarmi dai problemi giornalieri, sconfiggere le mie paure e soprattutto farmi capire della vita un collegamento importante: quello di saper fare e saper utilizzare, due capacità queste che devono andare sempre di pari passo. Il profumo di cui voglio parlarvi e che mi fa rivivere una dolce nostalgia, inspiegabile per chi non lo ha mai sentito, è quello del bucato che si faceva in tempi passati in campagna, nella grande cucina di mia nonna. Un profumo dapprima acre e, man mano che il lavaggio avveniva, sempre più dolce. Un profumo che si diffondeva per tutta la cucina e quando il lavaggio era finito continuava a lasciare un odore di pulito in tuttto l'ambiente. I giorni del bucato erano giorni particolari sia per chi lavava, sia per i bambini che cercavano di aiutare, o portando l'acqua pulita e calda da gettare dentro la conca con i panni, o gettare l'acqua sporca che era filtrata in una bacinella alla base del grosso vaso. Soprattutto erano felici di porgere la legna per il fuoco, quei pezzi solidi e tenaci di legna di pino che bruciati, dopo essere diventati sottile cenere, emanavano un profumo balsamico, aromatico che garantiva un efficace e duraturo pulito e stimolava fiducia in se stessi. Ma che fatica fare il bucato! Non era una cosa semplice e non durava poco, anzi si impiegava tutta una giornata e non era finito perché dopo il profondo lavaggio bisognava il giorno dopo caricare i panni in una tinozza di legno e recarsi al canale per risciacquarli dai granelli di cenere rimasti. Ricordo che in un angolo della cucina c'era, di fianco al focolare, un grande recipiente di terracotta che aveva sul fondo un piccolo foro, dal quale usciva un tubicino di canna, da cui usciva l'acqua dopo aver lavato i panni. La preparazione del lavaggio era cominciata la sera prima, i panni erano stati impilati con cura nella conca e ricoperti di un telo grezzo che serviva a proteggerli dalla cenere. L'indomani mattina si scaldava l'acqua nel paiolo e, dopo aver ricoperto il telo finale di cenere, la si versava sopra. Questa filtrava sulla biancheria e usciva dalla canna nel secchio posto alla base, quindi veniva ripresa, riscaldata e rigettata per parecchie volte sul bucato, l'ultima volta venivano messe anche foglie d'alloro per profumare il tutto. La biancheria rimaneva al caldo tutta la notte e nel frattempo la cenere sbiancava i tessuti. Il giorno dopo cominciava la sciacquatura. Povere donne? Attorno al coccio, il "concone", lavoravano instancabilmente e ciò era un occasione speciale per stare insieme, chiacchieravano, ridevano. Il clima era rilassato, il tempo scorreva con un dolce ritmo e l'impegno e la collaborazione faceva nascere sincere e durature amicizie. Questi ricordi, questi profumi, oggi, mi fanno apprezzare sempre più che tutto ciò che provo riassaporando profumi di tempi lontani, non sono cose da vecchi, da sentimentali, ma fanno parte del mio bagaglio culturale.
Lina Righetti