Arte

Antonio Canova, Le tre grazie, San Pietroburgo, Museo dell'Ermitage

CAPOLAVORI D'ITALIA nel mondo

Del 19 Dicembre 2010

Thomas Bruce, settimo conte di Elgin, ha visto associare il proprio nome a quella che forse è l'opera che più di ogni altra rappresenta la prova dei nobili natali dell'arte occidentale: le sculture di Fidia che ornavano il Partenone, gli Elgin Marbles che da quasi duecento anni decorano un'ala a loro dedicata al British Museum.

Nella grigia e fredda atmosfera londinese vide quelle opere tanto preziose Antonio Canova, quando venne chiamato, in quanto massima autorità europea nel campo dell'arte antica, a esprimere un giudizio. Il suo parere fu entusiasta a tal punto che egli convinse il governo inglese ad acquistare le sculture e a sistemarle nel British Museum.

Poter guardare da vicino e toccare quelle sculture che sulla collina sacra d'Atene sarebbero state a malapena raggiungibili con lo sguardo spinse l'artista e insieme "amatore" dell'arte acceso dall'appagamento di un desiderio (quello appunto di "toccare" Fidia) che non si sarebbe mai sognato di poter avere nella vita, a trascurare quella giusta e comprensibile disapprovazione che sicuramente deve essergli sorta in animo per il gesto scellerato di quel lord diplomatico che, in preda a una passione, aveva calpestato, insieme a quel sacro suolo greco, qualunque principio etico.

Questo è, in fondo, l'aspetto perverso dell'amore per l'arte che anima da sempre il collezionismo e che sta alla base degli immensi profitti legati al commercio delle opere d'arte: possedere il capolavoro fisicamente.

I musei e le collezioni del mondo sono pieni di opere sradicate dalla loro sede naturale in nome dell'amore per l'arte, senza alcun rispetto per le leggi.

Paradossalmente era stato proprio Antonio Canova, nel 1802, a dare finalmente una forma all'esigenza di norme che regolassero il sistema del collezionismo, redigendo, in qualità di Ispettore Generale delle Antichità e delle Arti dello Stato della Chiesa, il nucleo di quello che sarà poi, nel 1820, l'editto di Pio VII.

Canova in virtù dello stesso incarico conferitogli dal papa, era riuscito ad ottenere dalla Francia la restituzione di un numero ingente di opere d'arte che erano state trafugate da Napoleone durante la campagna d'Italia nel 1796.

"Tutto quello che c'è di bello in Italia sarà nostro" aveva scritto Napoleone al Direttorio.

Tra i vari capolavori ricordiamo quelle provvenienti dalle collezioni vaticane (Il Laocoonte, l'Apollo del Belvedere, l'Antinoo), una ventina dal Campidoglio (tra le quali la Venere Capitolina, il Galata morente e lo Spinario) e le restanti dalle chiese romane (tra le quali la Trasfigurazione di Raffaello e la Deposizione di Caravaggio, che in seguito alla meritoria azione di Canova del 1815 tornarono da Parigi fermandosi però in Vaticano, senza mai rientrare in Italia).

Dominique Vivant Denon, l'oeil de Napoleon, il grande conoscitore dell'arte, l'occhio che, accanto alla mano di Napoleone, riuscì a trasformare una delle più importanti ruberie d'arte della storia nella lungimirante operazione culturale che avrebbe offerto al popolo francese un museo degno di competere con l'Italia stessa per livello qualitativo delle opere esposte.

A quel punto fu l'Europa intera a divenire il suo campo d'azione, una specie di magazzino da cui rifornirsi a piene mani per costruire il più grandioso insieme museale mai esistito.

Nel cercare di individuare i presupposti che hanno fatto dell'Italia il Paese dell'arte si possono formulare diverse ipotesi: è l'innato edonismo degli abitanti dovuto alla piacevolezza del clima e dell'ambiente naturale? La divisione in tanti piccoli Stati corrispondenti ad altrettanti signori e quindi a tanti mecenati in nobile gara tra loro?

La divisione in tanti piccoli Stati, se da un lato ha favorito la produzione di un gran numero di opere d'arte e una differenziazione culturale straordinaria, dall'altro ha impedito la formazione e lo sviluppo di una forte identità nazionale.

Eppure un'unità tra gli italiani c'è, e si tratta di un'unità che sta nel fondo del modo di sentire, un'unità che non è sociale, non è politica, ma è determinata dal gusto per le cose belle, per i sapori naturali, per un rapporto equilibrato con l'ambiente, frutto del rapporto tra natura e arte. In Italia la quantità delle opere d'arte è straordinaria: anche se la cultura non sembra oggi avervi vita facile, non esiste luogo dove non sia qualche oggetto che è segno mirabile di un monumento storico, culturale, sentimentale.

Qui sono state concepite le più sublimi opere d'arte, qui è stata data loro la forma che tende all'eternità e qui è possibile vederne una grandissima quantità nei luoghi per i quali esse sono state create, dove hanno segnato il gusto e accompagnato, come una musica, le diverse fasi della storia artistica di un Paese che ha condizionato per secoli la cultura di un intero continente.

Le opere d'arte italiane ormai collocate in giro per il mondo sono moltissime, e possiamo dire che rappresentano il nostro Paese meglio di qualunque agente diplomatico.

L'aspetto positivo della dislocazione delle opere d'arte nei musei e nelle collezioni del mondo, ormai quasi completamente rese pubbliche, offerta a tutti, di vedere da vicino, di vivere quell'incontro incantevole che entusiasmò Canova.

Accettare che tante opere nel mondo siano lontane dal luogo al quale l'artista le ha destinate significa accoglierne una funzione superiore. Non ha più senso considerare Michelangelo o Shakespeare chiusi nei confini, davvero troppo ristretti, alle rispettive culture nazionali.

In Italia abbiamo la possibilità di riconoscerci parte di quella straordinaria cultura di cui le magnifiche opere d'arte sono espressione tangibile. Forse dobbiamo pensare a esse non come parte di un "patrimonio", ma come manifestazione di una ricchezza che è di tutti in quanto specchio della nostra ricchezza interiore.

Vivere in Italia, anche se può non essere può diventare un privilegio goduto fino in fondo, basta vivere il sentimento del bello.

Saremo contenti di pensare alle candide e levigate dee di Canova che si specchiano nella bellezza dei loro amanti nella gelida San Pietroburgo, di partecipare al colossale banchetto nuziale di Paolo Veronese nella raffinatissima Parigi o di inseguire noi stessi nella caotica Manhattan, attratti dalle lunghe ombre di Giorgio de Chirico?